COMMENTO

La quiete dopo la tempesta, che fu composta nel settembre del '29, è considerata (assieme a Il sabato del villaggio) una delle poesie più famose di Giacomo Leopardi, in quanto espressione più perfetta della poesia idillica leopardiana.
La Quiete è divisa in due momenti, uno prevalentemente figurativo, mentre l'altro prevalentemente riflessivo. La quiete e l'alacrità che ritornano dopo la tempesta esprimonospontaneamente l'immegine della vita, di continuo protesa verso la felicità, nonostante la presenza sempre incombente della morte.

Passata è la tempesta:
odo augelli far festa, e la gallina,
tornata in su la via,
che ripete il suo verso. Ecco il sereno
rompe la da ponente ...

Passata è la trempesta, e il sereno erompe infrangendo lo speso strato di nubi, sgombrando i campi da qualsiasi manifestazione temporalesca.

...
L'artigiano a mirar l'umido cielo,
con l'opra in man, cantando,
fassi in su l'uscio;a prova
vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
della novella piova;
e l'erbaiuol ...

Un elemento unificante va ricercato nella presenza del poeta in tutta la poesia: egli descrive un momento di piacere che coinvolge tutto un villaggio e interessa i sensi degli uomini, rendendo così evidente la sensazione di solievo e di ripresa vitale che succede alla tempesta.

...
Si rallegra ogni core.
sì dolce, sì gradita
quand'è com'or, la vita?
Quando con tanto amore
l'uomo a' suoi ...

L'occhio del poeta vede e osserva, partecipa anche alla gioia comune, ma in lui c'è una coscienza diversa che gli impedisce un coinvolgimento totale nella scena: è come un narratore esterno, conscio che la tranquillità è solo illusoria e momentanea, legata com'è all'attimo in cui si esaurisce l'esperienza dolorosa.
Il verso, che riassume le precedenti espressioni, segna una pausa meditativa che apre la strada al momento prevalentemente riflessivo della poesia.

Piacer figlio d'affanno;
gioia vana, ch'è frutto
del passato timore, onde si scosse
e paventò la morte
chi la vita abborria,
onde in ...

In questa seconda parte del canto subentra la riflessione: Il piacere non esiste in sè, esiste soltanto la cessazione del dolore, questa sola ci da l'illusione della felicità.

...
O natura cortese
son questi i doni tuoi,
questi i diletti sono
che tu porgi ei mortali. Uscir di pena
è diletto ...

Inizia un ragionamento tutto ironico che si sviluppa in questo senso: la natura è cortese perchè, se il piacere è figlio d'affanno, essa non lesina certo le pene agli uomini, così che ogni tanto ne possano godere. L'ironia, ad un certo momento, si trasforma in sarcasmo ed è evidente soprattutto nell'esclamazione Umana prole cara agli eterni.

... Umana
prole cara agli eterni
! assai felice
se respirar ti lice
d'alcun dolor: beata
se te d'ogni dolor morte risana.

Nella conclusione della poesia è manifesto il risentimento verso una natura che inganna anche quella umanità semplice ed indifesa descritta all'inizio del canto. L'idilio che si era aperto col sogno di una comunione con la natura e con la vita si conclude con una constatazione disperata: l'unica comunione possibile è quella con la morte.



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