Dario Ferracin e Andrea Resmini - lo spazio sacro

il teatro noh

Finalmente il viaggio conduce alla citta' di Tamara. Ci si addentra per vie fitte di insegne che sporgono dai muri. L'occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose.Se un edificio non porta nessun insegna o figura, la sua stessa forma ed il posto che occupa nell'ordine della citta' bastano a indicarne la funzione.(...)
Fuori si estende la terra vuota fino all'orizzonte, s'apre il cielo dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il vento danno alle nuvole l'uomo e' gia' intento a riconoscere figure: un veliero, una mano, un elefante...

La citta' e i segni I

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Il Noh e' un teatro del soprannaturale, un teatro nel quale gli dei danzano il fluire del tempo e dello spazio. E' una forma drammatica esclusivamente giapponese, di tradizione feudale, appartenente agli ambienti della corte imperiale, conservatosi ritualmente immoto sino ai nostri giorni. Le fonti sembrano concordare su di una origine cinese di quella forma di spettacolo di arte varia denominata sangaku che evolutosi in parte nei numeri del sarugaku sara' poi un elemento basilare nella costituzione, tra il XIV ed il XV secolo, del Noh.
Fra VII e X secolo avvengono le prime importazioni in Giappone del san-yue, danza o musica disordinata, priva di regole, rurale, non ufficiale, che riuniva in Cina il complesso delle manifestazioni artistiche assimilate dalle popolazioni dell'occidente barbaro, e che venivano recitate in contrapposizione alle danze di corte cinesi. All'origine abbiamo quindi una matrice arcaica asiatica che giunge in Giappone attraverso la determinante influenza interpretativa cinese, di carattere prettamente farsesco e comico: solo in epoca piu' tarda il Noh assumera' il carattere stilizzante e ritualizzato, imperniato sul racconto del mito che oggi gli si attribuisce naturalmente. Nel dramma Noh, l'attore principale e il suo deuteragonista formano una unita'. L'attore principale e' chiamato shite, l'esecutore, e il secondo attore waki, ossia spettatore, ospite. Lo shite personifica il dio,ed e' centro dell'azione drammatica; il waki e' il portavoce del pubblico sul palcoscenico, il tramite umano che induce il dio a danzare. Non esiste scenografia, se non il pino sacro dipinto di quinta, e i movimenti, i gesti e le parole raccontano del tempo del mito e di uno spazio in cui il divino si manifesta, alla maniera del Jeu d'Adam e dei misteri medievali . Il mutare dell'azione e del luogo viene indicato semplicemente dalla posizione e dai movimenti degli attori.
La recitazione e' fortemente stilizzata: i piedi dello shite non si alzano mai dal suolo, l'atteggiamento e' di misurata solennita', che pone in risalto lo status divino del personaggio,in cui l'irrompere dei sentimenti viene sottolineato dal solo battere delle calzature del waki contro il pavimento, fortemente risonante, di legno.

Fotografia del fronte palco di un edificio teatrale Noh e della sua pianta tipo, con la stanza degli specchi a sinistra e la zona scenica vera e propria in basso a destra, unite dal ponte.

Il Noh e' infatti un teatro interamente ligneo, in cipresso giapponese hinoki, costruito per la gran parte ad incastro. Si compone di un palco, Noh butai, di un ponte, hashi gakari, di una stanza di vestizione, detta dello specchio, kagami Noh ma, costruiti secondo l'arte del kiwari, la proporzione delle parti. Una prima constatazione evidente e' che lo spazio scenico e' aperto, privo di sipario, ma coperto di un tetto. Anche oggi, quando il Noh viene spesso ricostruito all'interno di un altro edificio, il tetto non viene rimosso; simbolicamente esso indica la santita' dello spazio sottostante, con espliciti richiami alla tipologia dei santuari scintoisti e all'ombrello della cerimonia del te' , e si estende oltre il margine del proscenio ad includere la platea. Il palco, luogo dell'azione scenica, ha come elemento qualificante il pino dipinto, che conferisce il ma, l'ordine cosmico, al teatro: e' quello che abbiamo definito l'evento totemico. L'identificazione tra mito della stabilizzazione come visto in Eliade e parti della costruzione teatrale e' totale, a cominciare dall'orientamento a Sud, in accordanza con il dettato delle quattro divine corrispondenze. La abbagliante asimmetria dell'insieme palco - ponte - stanza proviene anch'essa dalla necessita' di concretizzare un modello: nella tradizione scintoista e buddista esiste l'immagine della terra pura situata ad occidente, mondo del trascendente.

Il luogo dell'umano, simbolizzato dal palco, e' teatro di eventi cosmogonici; l'origine del divino, il momento deificatore, e' la stanza dello specchio; il tramite e' il ponte, luogo scenico autonomo, leggermente inclinato verso ovest. La tenda, age maku, che chiude l'entrata della stanza dello specchio e' realizzata in damasco ricamato in strisce verticali di cinque colori: da sinistra a destra sono porpora, bianco, rosso, giallo e verde, e simboleggiano la natura selvaggia che separa i due piani dell'essere, fuoco acqua terra vento e aria in accordo con la dottrina dei cinque elementi.
E' interessante notare come i colori rimandino alla disposizione dei punti cardinali e del centro degli assi, con il colore piu' importante, il rosso, associato al sud. Cromaticamente non sono utilizzati colori che rientrano, i colori statici sono posti ai lati esterni e al centro sono situati i colori che avanzano: l'effetto che si ottiene e' quello di uns tenda che, vista dalla platea, sporge in fuori, suggerendo una interessante natura attiva della stanza.

La parola astrattismo ha una etimologia affine al latino ab-trahere ed allude dunque ad una estrapolazione di forme dall'immagine riconoscibile del reale. Con la molto approssimativa formula di "arte astratta" si cataloga tutta la pittura che non persegue riscontri riproduttivi del visibile.

F. Caroli, La pittura contemporanea

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Percorsi, danze e cosmogonie

Gli eventi del Noh sono autonomi e complementari nelle loro funzioni simboliche, ma una gerarchia degli spazi esiste, ed e' invertita rispetto a queanto il pensiero occidentale si aspetterebbe. Lo spazio scenico piu' importante e' la stanza dello specchio, il percorso che abbiamo delineato nei paradigmi indiziari del cerchio magico e della chiesa romanica viene rovesciato: e' il dio che cammina verso gli uomini. Kagami Noh ma significa lo spazio del dio. Lo shite, varcato il velo della natura, percorre poi il ponte, passando in sequenza il pino che strappa i vestiti, il pino del vento e il pino delle felicitazioni, mostrando il profilo alla platea, drammatizzando e accentuando la progressione temporale della storia. Un effetto utilizzato ad esempio frequentemente nei comics. La linearita' del cammino e' importante, in quanto in stridente contrasto con la ciclicita' rotatoria delle danze che avverranno sul palco, dove, diremmo in sintonia col carattere sacro della narrazione, il movimento rettilineo e' completamente bandito; shite e waki svolgono una complessa coreografia che li porta a ruotare, l'uno in senso antiorario, terrestre, l'altro in senso orario, celeste, ogni volta che devono fronteggiarsi.
Modello schematico tridimensionale del teatro Noh.
Sono evidenziate le diverse "parti" simboliche che compongono lo spazio teatrale.
E' evidente la posizione centrale che viene ad assumere il pino dipinto nella concretizzazione dello spazio/tempo scenico.
Modello realizzato con Autodesk 3DStudio

Una funzione particolare svolge anche shirasu, la striscia di ghiaia che contorna per circa un metro tutto l'edificio teatrale: simbolizza il fluire delle acque ed enfatizza ulteriormente, isolandolo, l'elemento di sacralita' del Noh. Il Noh e' luogo sacro, quindi, ed ilsuo spazio metafisico e' diviso in nove luoghi e tre regioni, che corrispondono ad eventi nello svolgimento del racconto, e che lo shite raggiunge nel corso della azione scenica, nel momento prestabilito. E' da notare come la divisione sia presente non solo nel palco, ma anche longitudinalmente lungo il ponte: l'unico spazio indifferenziato e' quello, mitico, del kagami Noh ma. Procendendo dalla age maku verso la scena abbiamo: jo, la quiete, il momento prefatorio. Sul palco corrisponde allo jo-za, dove si incomincia a recitare, sul vertice nord ovest dell'assito in prossimita' del ponte. Segue ha, la rottura, lo svolgimento: il corrispondente sulla scena e' shonaka, il centro del palco. Ultimo viene kyu, il culmine, a cui fa eco sumi, sul limite del proscenio verso la platea. La divisione spaziale in unita' e' insieme una informazione coreografica e drammatica sullo svolgersi della vicenda ed una esigenza di tipo cultuale. Lungo il ponte, la tripartizione serve allo shite per negare l'esistenza della maschera, muoversi al ritmo della musica, dirigere la coscienza verso il racconto del mito. Sul palco, lo schema viene ulteriormente specificato, frattalizzato, nella partizione in nove quadranti ognuno dei quali ha un nome ed una funzione propria, e sui quali si proiettano i richiami cromatici e simbolici della age maku. La alterita' del Noh rispetto alla tradizione culturale occidentale e' grande, i nostri termini di paragone si fermano alle rappresentazioni sacre del tardo medioevo europeo. Il forte aspetto magico e consolatorio, la stordente ieraticita', sono probabilmente di difficile comprensione fuori dal Giappone. I temi, i drammi, scritti e mai modificati a cavallo del XV secolo, mettono in scena, come abbiamo gia' detto, una cosmogonia, e le affinita' con aspetti rituali della messa cristiana e con le stesse cerimonie shintoiste sono molteplici. Questa suprema indifferenza verso la il piano della realta', questo ripercorrere incessantemente i tempi del mito, ha condotto ad introdurre nel paradigma indiziario procedure inedite per il nostro quadro di riferimento.Non essendo il gioco dell'asimmetria una caratteristica peculiare del Noh, gli eventi evolutivi potevano essere ricondotti alla riduzione alla bidimensionalita' dell'immagine totemica del pino, alla inversione del rapporto uomo/dio e al conseguente ribaltamento del percorso iniziatico, all'elemento di ciclicita' affidato a danze rituali.

Esaminiamo gli eventi di questo nuovo ciclo. Iconograficamente, il pino dipinto e' una astrazione paragonabile al percorso che compie Mondrian da Albero argentato del 1911 a Paesaggio con alberi del 1912. La prospettiva e' univoca, fissa, e' non c'e', in nessuno dei due casi, una reale perdita di spazialita': e' solo una riduzione ai minimi termini, come a dire questo e' tutto quello che serve per lo scopo. Il Noh nasce all'aperto, nelle radure, il pino e' pero' solo segno ormai: sara' compito del dio ricrearne l'immanenza.
Il senso di passaggio e' sottolineato, sempre secondo questo percorso inverso che abbiamo indicato, sia simbolicamente che visivamente in modi diversi. Lo shite esce da s‚, muove dal centro cosmico nell'occidente, squarcia il velo della natura e percorre un cammino che lo porta a manifestare la divinita' e ad imporre nuovamente il tempo e il luogo del mito, la radura del pino, davanti all'uomo. I movimenti, abbiamo detto, sono prima rettilinei, poi rotatori.
Ora, all'interno di questo schema, hashi gakari, il ponte, ha subito una evoluzione rispetto al dato ricavato dal paradigma indiziario: e' meno percorso, iniziazione, di quanto sia asse celeste, tramite fra cielo e terra, una verticale, una scala.

Il procedimento differisce sensibilmente dall'accesso al sancta cristiano o megalitico, in cui il dio, per cosi' dire, attende. Nel contempo, verticalizzando, viene recuperato un elemento gia' presente nei due processi ricordati. L'elemento ciclico, da noi introdotto come evento nella lettura ritmica delle pietre di Stonehenge ma avvertibile in decine di possibili varianti, dalla moltiplicazione frattale del tempio della Grande Madre a Bali alle proliferazioni di cappelle nelle chiese cristiane, qui merita una considerazione a parte.
Non vi e' concretizzazione fisica, nessun cerchio di sassi, allitterazione di pali, sequenza di nicchie: la ciclicita' si esprime nel movimento dello shite, che simbolicamente ruota intorno al pino, non davanti. E' un evento mutevole nel tempo e non identificabile a tratti, una danza attorno al totem. Complessivamente dal Noh muove una forte istanza di smaterializzazione degli eventi del sacro: il tempo del mito e' decisamente presente, ora, ed induce una lettura a ritroso, rovesciata, delle sequenze eventi/interfaccia individuate dal paradigma indiziario.

Modello tridimensionale del teatro Noh

web links
The exhibition of noh
Tateyama Torchlight Noh Theatre


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Last updated on February 25th 1997