Capitolo 1 - Il PROGETTO di MORFOGENESI.
Progettare la specie e rappresentare l'idea.
Il campo della produzione industriale, si identifica nella riproduzione meccanica di elementi in serie e sempre uguali, nella ripetitività dei movimenti e del prodotto finale, come unico esemplare dell'intero processo produttivo.
Il controllo sistematico che ne risulta, è quindi indirizzabile alla sola gestione delle risorse, e il prodotto finale non acquista una propria identità o riconoscibilità, è parte integrante di un procedimento, ma non lo caratterizza.
La reale possibilità, invece, di pensare ad un prodotto industriale, che nasce da un procedimento di tipo dinamico, dove gli oggetti sono sempre pensati in gran numero e sulla base di un unico progetto, ma ognuno dei quali è diverso dall'altro, ma a cui sarà legato dalla riconoscibilità, dai caratteri e dalla specificità definiti dalla scelta progettuale, è alla base del progetto di morfogenesi.1
Per definire questo punto, si potrebbe far riferimento alla produzione del naturale dove ogni oggetto ha una sua specifica caratteristica, una sua propria identità, ad esempio, ogni foglia è diversa da qualsiasi altra, ma è perfettamente riconoscibile in una specie,il "progetto naturale" è infatti lo stesso, e la sua rappresentazione fisica è il DNA.
Esistono ovviamente delle differenze tra il naturale e l'artificiale, e questa è una differenza temporale; mentre, infatti, nel naturale l'evoluzione possiede un meccanismo di autoaffinamento di alcuni caratteri, un processo di adeguamento che viene memorizzato e riprodotto dalle specie successive per meglio adattarsi al contesto in continua evoluzione, nell'artificiale, le variazioni e le diversità che innescano adeguamenti e sviluppi, esistono solo all'interno di un tempo che ricomincia ogni volta che si attiva il sistema.
"Il meccanismo di caratterizzazione e di riconoscibilità di ogni singolo oggetto non è quindi dovuto, come in natura, all'evoluzione successiva lungo un'unica dinamica temporale, ma ogni elemento è il punto finale di un "tempo" differente e parallelo che il dispositivo produce ripercorrendo, iterativamente, tutte le sue possibili, infinite storie". 2
La riconoscibilità nasce dunque dall'utilizzazione delle logiche formali adottate, dalla casualità, che aumentano l'imprevedibilità della possibile forma finale; a rendere ancora più imprevedibile gli esiti finali, concorre la struttura instabile del sistema, organizzato secondo logiche di sviluppo che possono essere anche in contrapposizione tra di loro, differenziati proprio perché ricoprono campi e sfaccettature differenti.
Le scelte operate, devono essere scelte che individuano logiche di sviluppo, devono sondare il campo del possibile, e non essere scelte univoche, prive di complessità; il design di morfogenesi, implica proprio l'abbandono del gesto derivante da un unico momento di scelta, per affrontare una progettazione "aperta"; è decisamente al di fuori di ogni interesse, infatti, la possibile differenziazione e caratterizzazione di architetture prodotte con un medesimo progetto, e non investe che situazioni marginali ed ininfluenti.
L'innesco del progetto
Affrontare una progettazione, implica l'abbandono dello stato di equilibrio3 in cui vagano, ad un livello ancora teorico, le nostre idee, il nostro riferimento concettuale e i nostri desideri; infatti queste informazioni sono ancora "acerbe", non possiedono, cioè, quella caratteristica che le rende operabili ed evolutive, in sintesi, non sappiamo come procedere e come attivarle.
Questo smarrimento, che non ha solo chi si trova alle prime esperienze, deriva dal fatto che il nostro progetto è ancora immerso in uno stato di equilibrio, e progettare, significa proprio controllare la dinamica evolutiva di un'idea 4; dobbiamo controllare la trasformazione di una serie di idee, riferimenti, in un evento complesso e formalizzato.
Di conseguenza, la stessa forma finale, non potrà identificarsi come il risultato ultimo e definitivo, ma sarà solamente un evento, fra gli altri, che sarebbero stati possibili; il progetto di morfogenesi è infatti la possibilità di gestire le trasformazioni successive delle forme, e non quella di definire indicazioni per come innescare il progetto, proprio perché si occupa della metodologia del progettare.
Il procedimento da utilizzare per rompere il senso di vuoto che ci lega inesorabilmente nel principio di un progetto, è quello di scatenare una forma, un'evento, che inneschi una reazione tra i nostri desideri, richiamandoli ed organizzandoli in una struttura evolutiva: questo ruolo è affidato al catalizzatore.5
Il catalizzatore, che può anche non comparire direttamente nel processo che attiva, ed essere quindi una forma di transizione, può definirsi come una qualsiasi occasione, purché capace di stimolare la formalizzazione delle richieste, strutturandole e preparandole per l'inizio del viaggio verso la complessità.
Gli attori di questa prima fase evolutiva saranno dunque la casualità, la soggettività, le nostre esigenze di base, riferimenti e l'immaginario soggettivo.
Il contesto ambientale
Non possiamo pensare al nostro progetto, senza riferirci al contesto ambientale, naturale o artificiale, nel quale il nuovo evento sarà collocato, il contesto di riferimento si trova, infatti, in una situazione dinamica di crescita e, di questo, dobbiamo assolutamente tenerne conto.
Nel design, in particolare, è fortemente presente anche un secondo aspetto del contesto, che diviene chiave di lettura indispensabile: "la dinamica evolutiva dell'oggetto di riferimento, letta attraverso tutte le trasformazioni, evoluzioni ed adattamenti successivi dovuti sia alle nuove tecniche produttive, sia alle richieste che cambiano." 6
Ci troviamo dunque con due storie parallele e in continua evoluzione, ed è a questo punto che dobbiamo aumentare il controllo sulle nostre scelte; infatti è dal contesto a cui ci riferiamo, che costruiamo il nostro modello dinamico, attraverso valutazioni e interpretazioni estremamente soggettive dello stesso, che dovranno comunque essere plausibili ed accettabili.
Il nostro fine non è la verità, come ultima e insostituibile certezza, ma una delle possibili verità, proprio perché deriva da una forte carica soggettiva e da un nostro bisogno concettuale di ordine all'interno di un paradigma, costruito secondo le nostre sensazioni, umori, certezze e debolezze; in altre parole, individuiamo arbitrariamente delle unità, degli individui/oggetti/eventi possibili che noi riconosciamo in una specie ed ai quali affidiamo il compito di essere portatori dell'evoluzione della stessa specie.
Bisogna però essere consapevoli del fatto che è la nostra carica soggettiva ad attivare queste unità, c che esse possono essere diverse da una persona all'altra, e quindi innescate da molteplici considerazioni, possibilità, ordini gerarchici; la struttura del nostro universo, può essere esplicitata non solo dal rapporto spazio/oggetto, ma anche dalle possibili interfaccia 7 fra le varie unità, che faranno crescere il nostro modello di complessità.
L'organizzazione delle sequenze tra le unità e il loro sistema di rapporto, saranno i veri elementi portanti del disequilibrio, essi saranno plausibili, ma non assiomatici e totalizzanti, proprio queste caratteristiche le rendono opportunità dell'innesco del progetto, e se così non fossero, sarebbero inutilizzabili e anzi annullerebbero la necessità stessa del progetto; essendo invece una ipotesi soggettiva, sarà un primo paradigma indiziario che, per sua stessa natura, tanto più è efficace, quanto più aperto ad incrementare la propria complessità.
La dinamica evolutiva
Nel momento in cui il nostro progetto, aiutato dal catalizzatore, comincia il suo viaggio verso la complessità, tutte le forme, che fino a quel momento erano ancora non strutturate perché in equilibrio, cominciano a disporsi seguendo una logica di sviluppo soggettiva e casuale, trasformando gli elementi in ulteriori richieste, che migrano verso l'elemento già orientato e strutturano idee di possibili interfaccia e forme.
In questa fase del progetto di morfogenesi, abbiamo le prime proposte di formalizzazione, che esistono solo nel momento in cui vengono formulate, poiché sono occasione di nuove richieste ad un livello sempre più sofisticato, che migrano per strutturare ulteriori interfaccia; se nell'evolversi del progetto, queste interfaccia verranno successivamente sconnessi, la loro presenza rimarrà comunque come ricordo, DNA della struttura, capace di indirizzare e caratterizzare certi comportamenti, scelte, possibili soluzioni.
E' questa la fase più delicata del nostro progetto; infatti, è possibile che le nostre scelte si indirizzino troppo verso un singolo campo di sviluppo, tralasciandone altri, e rischiando così di trovarci dentro un vicolo cieco, in un momento del progetto, in cui tornare indietro, potrebbe rivelarsi troppo tardivo, e di conseguenza, fatale per il raggiungimento del nostro obiettivo.
E' opportuno, dunque, attivare più livelli di scoperta, innescando il processo simultaneamente sia su alcuni elementi componenti che sulla totalità, aumentando i campi delle scelte, degli eventi, che si comporteranno come ulteriori catalizzatori nelle possibili, successive evoluzioni dell'idea architettonica; anzi, più queste scelte saranno, tra loro, contraddittorie, maggiore sarà la garanzia di produrre disequilibrio, aumentando i margini di aleatorietà del progetto.
Le prime tappe di questo viaggio, sono quelle di eliminare i detriti di categoricità8 che i riferimenti emozionali/soggettivi ancora possiedono, e di produrre stimoli, eventi/richieste, complessità.
La qualità
Innescata la progettazione, il passo successivo è identificare una linea evolutiva, una logica capace di controllare l'universo di eventi, forme e richieste, verso un obiettivo; il problema è che, noi, questo obiettivo ancora non lo conosciamo, almeno non nel senso stretto del termine, quello che conosciamo sono, infatti, solo alcuni attributi, ma di questi non sappiamo come potranno identificarsi nella forma artificiale che stiamo creando.
Progettare è quindi ipotizzare solo alcune qualità, connesse all'immaginario soggettivo di riferimento in evoluzione; queste ipotesi, non sono certamente un risultato negativo del nostro procedere, anzi, se ci mettessimo in testa di avere già individuato l'obiettivo finale da raggiungere, rischieremmo di fermare il processo stesso della progettazione, definendo degli scenari privi di qualità e fortemente categorici nella loro acerba soggettività.
Il progetto di morfogenesi, è controllare un processo imprevedibile, un sistema caotico, capace di procedere verso la complessità individuando, di volta in volta, esiti diversi, ma sempre riconoscibili in una specie.
Paradigmi indiziari e soggettività
Fino a questo punto del progetto, si sono utilizzati una serie di paradigmi indiziari che hanno controllato le scelte fatte, organizzato gli elementi/richieste conosciuti, e quelli ancora sconosciuti, attraverso momenti di continuità o di salto.
Per la sua stessa natura, il paradigma deve essere in grado di poter rispondere a qualsiasi sollecitazione e sviluppi possibili che la complessità stimola e produce; se ci troviamo di fronte a un vicolo cieco, non bisogna avere dubbi, e cambiare il nostro paradigma senza rimpianti, permettendo così al processo evolutivo di continuare il suo cammino.
Il paradigma indiziario è uno strumento che controlla come procedere, trasformare e aggregare eventi, non deve dare delle risposte, non deve essere una struttura di controllo tipologico, se cosi fosse, fallirebbe, non riuscendo più a dare risposte, a formalizzare eventi e produrne di nuovi.
Gli strumenti che utilizza un paradigma indiziario sono:
Le matrici geometriche: La geometria è uno degli strumenti più efficaci, e permette di controllare una struttura a prescindere dal suo contenuto, inoltre prescinde dalla scala, attuando un controllo del passaggio da una scala all'altra, organizzando sia la totalità che la forma dei singoli componenti.
Nel campo della geometria, si riconoscono le trame geometriche, che a seconda del loro orientamento, possono offrire diverse chiavi di lettura di un medesimo oggetto, ampliandone alcune caratteristiche, stratificando i loro possibili significati; la geometria frattale, permette il controllo dei passaggi di scala, le procedure da seguire, partendo da una forma e procedendo iterativamente nella variazione della sua scala attraverso passaggi ripetuti che possiamo controllare, traslare, ruotare.
La matrice geometrica all'interno di un paradigma può avere due tipi di controllo, una che regoli strutture nella stessa scala, con possibili forme di interfaccia, l'altra nel passaggio da una scala all'altra.
Matrici Topologiche: Si tratta di uno strumento di controllo che individua concettualmente quelle particolari sequenze di come, nello spazio ambientale, ci si avvicina ad un luogo/oggetto, come si passa da uno spazio/oggetto ad un'altra; questa carica concettuale e fortemente simbolica permette di organizzare delle sequenze, che strutturano e caratterizzano il nostro progetto, e dove ad ogni aumento di complessità fornisce nuove e precise richieste funzionali; attraverso uno strumento di controllo dimensionale, è possibile definire la crescita delle dimensioni, e può essere attivata attraverso l'utilizzo del modulo o di una griglia modulare.
Gerarchizzazione e simultaneità All'interno del nostro progetto, tutti gli elementi presenti, forme, matrici tecnologiche, materiale, hanno la stessa importanza, ed ognuna delle risposte che questi eventi/richieste strutturano, dovranno essere simultanee ma noi, tendiamo ad organizzarli, "muoverli" secondo un nostro soggettivo grado di ordine, secondo una nostra logica che inevitabilmente gerarchizza la struttura di risposta complessiva; questa può essere qualsiasi occasione di progetto, un particolare tecnologico, un tipo di materiale, il colore, tutti capaci di orientare la risposta, caratterizzandola e rendendola riconoscibile a monte dell'oggetto che verrà formalizzato.
Ordine e trasgressione: Con ordine del progetto, non è intesa, ovviamente, la "regolarità" della struttura, ma l'organizzazione di possibili e intersoggettive chiavi di lettura, ovvero la possibilità di riconoscere le indicazioni per intuire la logica dell'organizzazione totale e delle matrici di complessità.
Definito questo ordine, è possibile poi renderlo ancora più significativo immettendo diversi fattori, eventi unici che ribaltano una struttura già definita; è il caso delle eccezioni, considerati proprio come eventi eccezionali, inaspettati, in grado cioè di caratterizzare alcune scelte, rendere operabili salti di paradigma, comunque offrire sempre una scelta tra regolare eccezionale, che, seppur nella sua delicata struttura, se utilizzato al meglio, permette di affrontare con più flessibilità le richieste/eventi casuali/soggettivi.
Da un paradigma ad un'altro
Il più importante attributo del paradigma indiziario è quello di essere flessibile e avere la capacità di recepire tutte le possibili variazioni, caratterizzazioni soggettive che generiamo con la dinamica evolutiva del nostro progetto.
Il nostro percorso progettuale non è esente da possibili momenti critici, accidentalità che rallentino il motore dell'evoluzione, della scoperta, e questo avviene quando, "ogni richiesta che ci viene dalla crescita di complessità del nostro progetto, per essere soddisfatta, necessita di un'ulteriore snaturamento della nostra idea, allora non dobbiamo restare attaccati al paradigma adottato, ma dobbiamo costruirne un'altra"9.
Questa nuova scelta, ha sicuramente il vantaggio di poter spostare da un contesto ad un'altra del progetto, i nostri eventi già formalizzati, che potranno, nella nuova occasione di progetto, diventare da forme dello spazio/oggetto a forme del dettaglio, oppure servire come memoria capace di catalizzare le future scelte.
Esiste, tuttavia, anche il rischio di perdere parte del lavoro svolto, quindi la sfida è quella di utilizzare questo cambiamento per potenziare la nostra struttura progettuale, per innalzarne il livello di complessità e qualità; questo delicato passaggio tra continuità/discontinuità richiede anche il cambiamento del contesto di riferimento precedente, ormai non più rispondente alle nuove richieste, con un nuovo immaginario.
E' in questo momento che il progetto deve sapere rispondere all'imprevedibile, adattandosi e crescendo dal nuovo punto di partenza: "Trasmigrando da un paradigma ad un'altra affineremo le capacità di apertura, di flessibilità del sistema che abbiamo strutturato, e, nello stesso tempo, lo renderemo più affidabile.[...] E' accrescere le possibilità di rispondere, in modo sempre efficace e pertinente, all'imprevedibile" 10.
Il punto fondamentale, è dunque, quello di rispondere all'incremento di complessità, rispondere ad un sempre maggiore numero di richieste, ed il paradigma deve essere in grado di farlo, e al tempo stesso, deve essere più complesso e aperto11, deve operare su di un livello più sofisticato.
Evoluzione verso la complessità
Si è arrivati alla fermata finale di questo viaggio verso la complessità, ma attenzione, non è una fermata definitiva, è in realtà un punto di partenza, da cui riprendere il viaggio per sondare nuove scoperte, desideri, esplorare il possibile.
Gli obiettivi che sono stati raggiunti, possono essere individuati in:
1. Incremento della riconoscibilità del "fare progettuale" specifico del progettista.
2. Depurazione del progetto da assiomi e categoricità soggettive e casuali.
3. Incremento della complessità come apertura, multilaterità di senso, capacità di risposte plurime a intersoggettività possibili.
4. Crescita di qualità del progetto come diminuzione del differenziale virtuale /immaginario, e come crescita parallela dell'immaginario soggettivo di riferimento.
Note:
(1) Celestino Soddu, Enrica Colabella, Il progetto ambientale di morfogenesi, Bologna, Progetto Leonardo, 1992
(2) Celestino Soddu, Città Aleatorie, Milano, Masson, 1989
(3) "Un sistema chiuso, come una pietra, un tavolo, è in stato di equilibrio, il che vuol dire che gli scambi di materia/energia con l'esterno sono nulli. Diversamente, la costanza della fiamma di una candela, la costanza dell'ambiente interna di una cellula o di un organismo non sono affatto legati a un simile equilibrio; al contrario, c'è squilibrio nel flusso energetico che li alimenta, e in assenza di tale flusso si verificherebbe una sregolazione organizzativa che in breve provocherebbe il deperimento". Edgar Morin, Introduzione al pensiero complesso, Milano, Sperling & Kupfer, 1993.
(4) Celestino Soddu, Enrica Colabella, op.cit.
(5) Celestino Soddu, Enrica Colabella, op.cit.
(6) Celestino Soddu, Enrica Colabella, op.cit
(7) "Interfaccia individua comunque la presenza di due entità che sono in qualche maniera connesse e hanno uno scambio di informazioni. [...] La nozione di interfaccia situata tra i due poli si contrappone alla nozione di interazione, che è un concetto che prescinde dal fatto che i due attori in gioco siano biologici o meno. Naturalmente il caso più interessante in questa sede è quello che implica la relazione tra un individuo biologico, in particolare, un essere umano, e un individuo tecnico, rappresentato da un apparecchio che non è necessariamente un computer, ma che presenta comunque la capacità di scambiare informazioni. E questa capacità si materializza, in senso molto generale, nell'interfaccia. L'interfaccia è il diventare materiale dell'interazione" Giovanni Anceschi, "Interfaccia, interazione e altro"(a cura di Pietro Montefusco, in Modo n°145, G.Anceschi
(8) Celestino Soddu, Enrica Colabella, op. cit.
(9) Celestino Soddu, Enrica Colabella, op. cit
(10) Celestino Soddu, Enrica Colabella, op. cit
(11) "Che cos'è la complessità? In prima sostanza, la complessità è un tessuto (complexus:ciò che è tessuto insieme) di costituenti eterogenei inseparabilmente associati: pone il paradosso dell'uno e del molteplice. In seconda sostanza, la complessità è effettivamente il tessuto di fatti, interazioni, determinazioni, alea, che costituiscono il nostro mondo fenomenico". Edgar Morin, op. cit.
()12 Celestino Soddu, Enrica Colabella, op. cit.