|
|
|
|
|
|
Il termine più di ogni altro adatto
al confronto dell'architettura come artefatto è quello della natura:
natura come creazione e quindi come modello di ogni processo creatore;
natura come realtà fisica onnipresente e quindi richiamo esclusivo
di ogni avvicinamento o imitazione, natura infine, in termini più
illuministici, come sistema ad ordine preconizzato, sistema dell'universo,
da riprodurre sulla via della ricerca dell'uomo.
Il rapporto che lega naturale ed artificiale
ci riporta ad un desiderio di ordine architettonico che ha come modello
la natura stessa. La trattatistica, che nel Rinascimento si è espressa
intorno all'origine delle colonne e dei capitelli, ci mostra uno dei tanti
paradigmi vitruviani approfonditi oltre che nel '500 anche nel periodo
illuminista e contemporaneo, dalla colonna che racchiude l'archetipo del
tronco d'albero, al grattacielo di Manhattan che ha come referente naturale
il monte Cervino.
L'architettura paradigma della natura si ritrova
dal racconto vitruviano alle mitologie settecentesche, dai concetti filosofici
ai molteplici riferimenti naturalistici.
Non si può, tuttavia, limitare il discorso
all'architettura dei giardini, anche se è l'esempio più eclatante
della possibilità di sublimare l'artefatto e la natura.
"Se consideriamo i due sistemi, il naturale
e l’artificiale, ed i relativi processi evolutivi, notiamo che ognuno di
questi mondi persegue, nella propria evoluzione, una finalità comune:
l’aumento di complessità".
(C. Soddu, E. Colabella 1992).
Gli ambienti naturali acquistano complessità
attraverso l’evoluzione genetica; le città crescono nel tempo acquisendo
complessità formale e funzionale, gli stessi progetti di architettura,
nel loro evolversi, acquistano capacità di risposta multipla alle
esigenze ed ai bisogni.
Se l’artificiale si evolve attraverso scelte
soggettive ed il naturale attraverso scelte casuali, ciò non definisce
uno spartiacque, in quanto sia la soggettività che la casualità
interessano l’evoluzione in quanto producono un cambiamento che, nei cicli
successivi, potrà rivelarsi opportuno alla soluzione dei bisogni
dei singoli individui.
(C. Soddu, E. Colabella 1992).
L'uomo ha da sempre preso spunto dalla natura
per adempiere ai suoi bisogni più contingenti: mangiare, ripararsi,
vestirsi…; quindi è del tutto naturale che anche oggi, pur con fini
molto diversi da quelli, continui ad assurgere la natura quale modello
di organizzazione perfetta. In tempi recenti questo tipo di operazione
è stata tentata con ottimi risultati pratici ed evocativi da F.
L. Wright e dal Razionalismo organico. Il loro punto di partenza fu esplicitato
dallo stesso Wright: "Io dichiaro che è giunta l'ora per l'architettura
di riconoscere la propria natura, di comprendere che essa deriva dalla
vita ed ha per scopo la vita…", una dichiarata intenzione a privilegiare
la persona rispetto alla cosa e ritrovare, nel rapporto con la vita e la
natura, l'elemento fondativo dell'architettura.
Wright sembra privilegiare l'integrazione formale
fra naturale ed artificiale, ma ci sono anche molti esempi di progettisti,
anche discepoli dello stesso Wright, che hanno inteso la sua lezione più
dal punto di vista evocativo, uno su tutti Jorn Hutzon, il quale nella
Opera House di Sydney realizza un artefatto che richiama la forma dell'oceano
in burrasca, delle vele gonfiate dal vento e delle ali dei gabbiani in
volo.
Oggi Renzo Piano rilegge in molte sue opere i
principi dell'architettura organica, rendendoli più complessi e
suggestivi e realizzando, dove possibile, una perfetta fusione di integrazione
formale fra naturale ed artificiale, e di evocazione simbolica.
Tutto questo è palese nel centro culturale
di Noumea in Nuova Caledonia, dove, non solo si realizza una sintesi formidabile
della sua struttura con l'ambiente circostante, bensì riesce a far
riprodurre il suono del vento fra le frasche, l'invecchiamento della foresta
e la sensazione di continua vibrazione come se si trattasse delle fronde
di una palma.
Come può tutto ciò che è
stato detto fino a questo momento condizionare lo sviluppo di una città
del terzo millennio?
Nel futuro abbiamo ipotizzato che le città,
ed il territorio in generale, saranno alleggeriti dal peso opprimente delle
grandi infrastrutture e dall'urbanizzazione che riduce lo spazio umano
a celle impervie e claustrofobiche; quindi l'ambiente e la natura, universi
che da sempre e per sempre l'uomo inseguirà sentendosene attratto,
costituiranno un referente molto più forte di quanto è oggi.
Il problema è: qual è il codice
morfogenerativo in grado di riprodurre infiniti scenari nei quali l'artificio
e la natura si coniughino perfettamente?
La natura si manifesta in modi sempre nuovi e
straordinari, quindi è difficile trovare un codice unico, poiché
si rischierebbe di fare un processo di semplificazione.
E' pur vero, però, che la natura si evolve
verso la complessità secondo combinazioni casuali del suo DNA, quindi
noi dobbiamo cercare e clonare con lo stesso principio il DNA del sito
nel quale andiamo ad intervenire.
Uno strumento che potrebbe aiutarci molto in
questo difficile compito è la geometria frattale: la novità
degli oggetti frattali consiste nella loro infinita complessità
morfologica, che si contrappone all'armonia ed alla semplicità delle
forme euclidee e trova una corrispondenza nella varietà e nella
ricchezza delle forme naturali.
A questo scopo bisogna ricorrere ad algoritmi
nei quali l'elemento casuale giochi un ruolo determinante, ci riferiamo
in tal caso alla famiglia dei "frattali stocastici". I più frequentati
sono probabilmente quelli basati sul cosiddetto moto browniano frazionario:
gli esperimenti di Mandelbrot hanno dimostrato che, calibrandone opportunamente
la dimensione frattale, tali modelli producono coste difficilmente distinguibili
da quelle reali, questo sistema è in grado di generare anche scenari
montuosi molto realistici.
Un'altro tipo di frattali utile al nostro scopo
può essere formato da una molteplicità di strutture distinte
ma connesse fittamente: i multifrattali, un tipico esempio è la
crescita dei cristalli per aggregazione limitata dalla diffusione (DLA).
Tali cristalli si formano catturando molecole qua e là ed inglobandole
nella struttura ramificata. La probabilità di crescita di una nuova
molecola dipende strettamente dalla sua posizione, infatti i punti interni
la struttura hanno minori capacità di attrarre a sé altre
molecole, al contrario di quelli esterni. L'aggregato ha quindi una struttura
multifrattale inestricabile costituita da un ammasso di frattali individuati
dagli insiemi di punti che hanno la stessa probabilità di crescita.
Noi ipotizziamo che la geometria frattale costituisca
un possibile codice di morfogenerazione in grado di coniugare le forme
della natura e dell'artificio, divenendo un prezioso strumento di controllo
della complessità.
BACK |