7.3  DALL'EPOPEA DI GILGAMESH 


Presentazione di Gilgamesh  
"Quando gli dei crearono Gilgamesh gli diedero un corpo perfetto. Il sole glorioso Samas lo dotò di bellezza, Adad, dio della tempesta, lo dotò di coraggio, i grandi dei resero perfetta la sua bellezza, al di sopra di ogni altro, terribile come gran toro selvaggio. Per due terzi lo fecero dio e per un terzo uomo."  

La vigoria giovanile di Gilgamesh  
" Gilgamesh se ne andava per il mondo; ma non incontrò nessuno che potesse resistere alle sue armi finchè non giunse ad Uruk. Gli uomini di Uruk, tuttavia, mormoravano nelle loro case: "Gilgamesh suona il segnale dall'allarme per suo divertimento, giorno e notte non c'è limite alla sua arroganza. Nessun figlio è lasciato a suo padre, poichè Gilgamesh tutti li prende, anche i bambini; eppure il re dovrebbe essere un pastore per il suo popolo. La sua lussuria non lascia nessuna vergine all'amante, nè la figlia al guerriero, nè la moglie al nobile; eppure egli è il pastore della città, saggio, avvenente, risoluto."  

La creazione di Enkidu  
"Udirono gli dei il loro lamento, gli dei del cielo elevarono un grido al Signore di Uruk, ad Anu, dio di Uruk: "Una dea lo ha fatto, forte come toro selvaggio; nessuno può resistere alle sue armi (...)." Quando ebbe udito le loro lamentele, gli dei esclamarono rivolti ad Aruru, dea della creazione: "Fosti tu a farlo, Aruru; crea ora il suo pari, uno che sia simile a lui quanto il suo riflesso, un altro lui, cuore tempestoso per cuore tempestoso. Che essi contendano tra di loro e lascino Uruk in pace !"  
"Così, la dea concepì nella sua mente un'immagine, ed era fatta della sostanza di Anu del firmamento. Nell'acqua immerse le mani, trasse un pizzico d'argilla, lo lasciò cadere nella landa deserta e fu creato il nobile Enkidu. C'era in lui la virtù del dio della guerra, di Ninurta stesso."  

La vita selvaggia di Enkidu  
"Aspro era il suo corpo, lunghi i suoi capelli come quelli di una donna, ondeggiavano come i capelli di Nisaba, dea del grano. Il suo corpo era coperto di pelo arruffato come quello di Sumuqan, dio del bestiame. Era ignaro dell'umanità, nulla sapeva della terra coltivata.  
Enkidu si pasceva d'erba sulle colline assieme alle gazzelle, con le bestie selvatiche si appostava presso le pozze d'acqua; dell'acqua gioiva in compagnia dei branchi di animali selvatici."  

I sogni premonitori di Gilgamesh  
"Gilgamesh si levò per raccontare il sogno a sua madre, a Ninsun, una dei saggi dei.  
(...) Allora Ninsun, la beneamata, la saggia, disse a Gilgamesh: " Quella stella del cielo che come meteora scese dal firmamento, che tu cercasti di sollevare ma trovasti troppo pesante, quando cercasti di spostarla, non si mosse e così la portasti ai miei piedi: fui io a farla per te, quale pungolo e sprone, e tu ne fosti attratto come da una donna. Questi è il compagno forte, colui che reca aiuto all'amico nel momento del bisogno. E' il più forte delle creature selvatiche, è della sostanza di Anu; è nato nelle praterie e lo hanno allevato le alture selvagge; quando lo vedrai sarai lieto, come una donna lo amerai e lui mai ti abbandonerà. Questo è il significato del sogno".  
Gilgamesh disse: "Madre, un altro sogno ho sognato (...)".  
Ninsun rispose: "Quella scure che vedesti, che così fortemente ti attrasse come l'amore per una donna, è il compagno che io ti do, ed egli verrà in tutta la sua forza come uno delle schiere del cielo. E' il compagno coraggioso che salva l'amico nel bisogno."  

Lo scontro - incontro tra Gilgamesh ed Enkidu  
"Enkidu entrò a Uruk, in quel grande mercato, e tutta la gente gli si accalcava intorno, là dove egli stava nella via di Uruk dalle forti mura. (...)  
Enkidu uscì e stette nella strada sbarrando la via. Venne avanti Gilgamesh possente ed Enkidu lo incontrò la porta. Mise il piede avanti e impedì a Gilgamesh di entrare in casa, e così vennero alle prese, tenendosi l'un l'altro come tori avvinghiati. Ruppero gli stipiti, i muri tremarono; sbuffarono come tori avvinghiati. Infransero gli stipiti ed i muri tremarono. Gilgamesh piegò il ginocchio ed Enkidu fu rovesciato a terra. Subito allora si placò la sua furia. Non appena fù a terra, Enkidu disse a Gilgamesh: "Al mondo non c'è un altro come te (...)."  
Così, Gilgamesh ed Enkidu si abbracciarono e la loro amicizia fu suggellata".  

In viaggio verso la Foresta dei Cedri  
"(...) Fu allora che il signore Gilgamesh rivolse i  pensieri al Paese del Vivente; sulla Terra dei Cedri il signore Gilgamesh meditò. Disse al suo servo Enkidu: "Non ho stabilito il mio nome imprimendolo sui mattoni come decretava il mio destino; andrò quindi nel paese dove si abbatte il cedro. Innalzerò il mio nome dove si scrivono i nomi degli uomini famosi, e là dove non è ancora stato scritto il nome di nessun altro uomo eleverò un monumento agli dei. A causa del male che c'è in questa terra, andremo nella foresta e distruggeremo il male; nella foresta infatti vive Humbaba il cui nome è "Enormità", gigante feroce".  

La lotta contro il mostro Humbaba  
"Insieme si addentrarono nella foresta e giunsero alla verde montagna. Lì si fermarono e rimasero attoniti; si fermarono e guardarono la foresta. Videro l'altezza del cedro, videro la via che entrava nella foresta e il sentiero su cui era uso camminare Humbaba. Contemplarono la montagna dei cedri, dimora degli dei e trono di Ishtar. Il cedro si ergeva davanti alla montagna in tutta la sua mole, la sua ombra era magnifica, piena di sollievo; sul monte e nella radura verdeggiava la macchia.  
(...) Quando furono scesi dalla montagna Gilgamesh prese la scure in mano, abbattè il cedro. Quando Humbaba udì il rumore da lontano ne  fù infuriato; gridò: " Chi è costui che ha violato i miei boschi e tagliato il mio cedro?".  
(...) Come toro selvaggio infuriato annusava la terra; il guardiano del bosco si volse pieno di  minaccia, gridò. Venne Humbaba dalla sua forte casa di cedro, annusò e scosse il capo, minacciando Gilgamesh; e su di lui fissò il suo occhio, l'occhio della morte. Allora Gilgamesh chiamò Samas. (...) Samas glorioso udì la sua preghiera e convocò il grande vento, il vento del nord, il turbine, la tempesta e il vento gelato, la bufera e il vento ardente. Essi vennero come draghi, come fuoco ardente, come serpente che raggela il cuore, come piena distruggitrice e come forca del fulmine. Gli otto venti insorsero contro Humbaba, si abbatterono sui suoi occhi; era preso in una morsa, incapace di avanzare o retrocedere.(...) Si avvicinò come nobile toro selvaggio preso al laccio sul monte, come guerriero con i gomiti legati insieme.  
(...) Gilgamesh prese la scure in mano, estrasse la spada dalla cintura e sferrò ad Humbaba un colpo di spada nel collo; Enkidu suo compagno sferrò il secondo. Al terzo colpo Humbaba cadde. Allora vi fu gran subbuglio perchè quello che avevano abbattuto era il custode della foresta."  

L'intervento di Ishtar  
"Gilgamesh si lavò le lunghe chiome e pulì le armi; i suoi capelli fece ricadere all'indietro sulle spalle; gettò via gli abiti sporchi, li cambiò con nuovi. Indossò le vesti regali e le cinse strette.  
Quando Gilgamesh ebbe indossato la corona, Ishtar gloriosa levò gli occhi e vide la bellezza di Gilgamesh. Disse:"Vieni a me, Gilgamesh, sii il mio sposo (...)".  
Gilgamesh aprì bocca e a Ishtar gloriosa rispose: "Se ti prendo in sposa, quali doni potrei darti in cambio? Quali unguenti e vesti per il tuo corpo? Volentieri ti darei pane e ogni genere di cibo adatto ad un dio. Ti darei vino da bere consono ad una regina. Orzo verserei per stipare il tuo granaio; ma quanto a fare di te mia moglie - questo no. Che ne sarebbe di me? I tuoi amanti ti hanno trovata come un braciere che va spegnenedosi al freddo, una porta che non respinge nè folata di vento, nè tempesta, un castello che travolge la guarnigione, la pece che annerisce chi la porta, una fiasca che irrita la pelle di chi l'ha addosso, una pietra che cade da un parapetto, un ariete da assedio che ritorce i suoi colpi, un sandalo che fa incespicare chi lo calza. Quale dei tuoi amanti hai amato per sempre? Ascoltami, narrerò la storia dei tuoi amanti."  
(...) Udito ciò, Ishtar cadde in preda ad un'ira amara; salì nell'alto dei cieli. Le sue lacrime scorrevano davanti a suo padre Anu e ad Antum sua madre. Disse: "Padre mio, Gilgamesh mi ha coperta di insulti, ovunque ha raccontato il mio comportamento abominevole, le mie azioni immmonde e orrende. (...) Padre mio, dammi il Toro del Cielo per distruggere Gilgamesh".  

La lotta con il Toro Celeste  
Quando Anu udì le parole di Ishtar le diede il Toro del Cielo da condurre alla cavezza giù ad Uruk. Giunti che furono alle porte di Uruk, il toro si recò al fiume; quando sbuffò per la prima volta nella terra si aprirono fenditure e cento giovani vi caddero dentro a morire; quando sbuffò per la seconda volta si aprirono fenditure e ne caddero dentro a morire duecento; quando sbuffò per la terza volta si aprirono fenditure, Enkidu si piegò in due, ma si riebbe subito, si scansò di lato e balzò addosso al toro afferrandolo per le corna. Il Toro del Cielo schiumava alla bocca, col folto della coda lo sfiorava. Enkidu gridò a Gilgamesh: "Amico mio, ci siamo vantati che avremo lasciato ai posteri un nome duraturo; conficca dunque la tua spada tra nuca e corna". Così Gilgamesh seguì il Toro, lo afferrò per il folto della coda, conficcò la spada tra nuca e corna e lo ammazzò. Quando ebbero ucciso il Toro del Cielo, gli strapparono il cuore e lo offrirono a Samas; e i due fratelli si riposarono.  
Ma Ishtar si levò e salì sulla grande muraglia di Uruk, balzò sulla torre e proferì una maledizione: "Guai a Gilgamesh, poichè in spregio di me ha ucciso il Toro del Cielo".  
(...) Quando venne la luce del giorno, Enkidu si alzò e gridò a Gilgamesh: "Fratello mio, che sogno ho fatto la notte scorsa! Anu, Enlil, Ea e Samas si erano radunati a consiglio, e Anu disse a Enlil: "Poichè hanno ucciso il Toro del Cielo e poichè hanno ucciso Humbaba, che custodiva la Montagna dei Cedri, uno dei due dovrà morire."  

Il viaggio alla ricerca dell'immortalità  
"Gilgamesh piangeva amaramente per l'amico Enkidu, vagava per le lande come un cacciatore, andava ramingo per le pianure. Gridava nella sua amarezza: "Come posso riposare? Come posso avere pace? La disperazione è nel mio cuore. Ciò che è mio fratello ora, lo sarò io quando sarò morto. Poichè ho paura della morte farò del mio meglio per trovare Utanapistim, colui che chiamano il Lontano; egli infatti è entrato nel consesso degli dei". Fu così che Gilgamesh attraversò le lande, vagò per le praterie, un lungo viaggio alla ricerca di Uta-Napistim, colui che gli dei avevano preso con se dopo il Diluvio (...).  
Così, col tempo, Gilgamesh giunse a Masu, ai grandi monti di cui tante cose aveva udito, posti a guardia del sole che sorge e che cala. I suoi picchi gemelli sono alti quanto il muro del cielo, i suoi poggi scendono giù sino agli Inferi. Alle sue porte fanno la guardia gli Scorpioni, metà uomini e metà draghi; terrificante è la loro gloria, il loro sguardo colpisce gli uomini a morte (...)..  
L'Uomo-Scorpione aprì la bocca, parlò a Gilgamesh e disse: "Nessun uomo nato da donna ha mai compiuto ciò che tu chiedi, nessun mortale è mai andato alla montagna; la sua lunghezza è dodici leghe di tenebra; in essa non vi è luce ma il cuore è oppresso dal buio.  
Dal sorgere del sole fino al calare del sole non vi è luce alcuna". Rispose Gilgamesh: "Quand'anche io debba andare afflitto dal dolore, con sospiri e pianti, io debbo andare comunque. Apri la porta della montagna". E l'Uomo-Scorpione: "Và, Gilgamesh, ti permetto di attraversare il monte Masu e le altre catene. Possano i tuoi piedi riportarti a casa salvo. La porta della montagna è aperta".   
Quando Gilgamesh udì queste parole fece come aveva detto l'Uomo-Scorpione, traversò la montagna seguendo il cammino del Sole verso levante. Quando ebbe percorso una lega, l'oscurità si fece fitta intorno a lui, poiché non c'era luce alcuna, e nulla poteva vedere né davanti nè dietro di sè. Dopo due leghe, l'oscurità era fitta intorno a lui e non c'era luce alcuna, nulla poteva vedere né davanti nè dietro di sè. Dopo tre leghe, l'oscurità era fitta intorno a lui e non c'era luce alcuna, nulla poteva vedere né davanti nè dietro di sè. Dopo quattro leghe [...]  Quando ebbe percorso otto leghe, Gilgamesh diede un gran grido, perché l'oscurità era fitta e non c'era luce alcuna, nulla poteva vedere né davanti nè dietro di sè. Dopo la nona lega sentì il vento del nord sul suo viso, ma l'oscurità era fitta e non c'era luce alcuna, nulla poteva vedere né davanti né dietro di sè. Dopo dieci leghe la fine era vicina."  

Il giardino del Dio Sole  
"(...) Dopo undici leghe apparve la luce dell'alba, compiute undici leghe apparve la luce del sole.  
Ivi era il giardino degli dei; tutt'intorno a lui stavano cespugli carichi di gemme. Appena lo vide, subito discese, perchè vi erano frutti di corniola da cui pendevano i rampicanti, belli a vedersi, e foglie di lapislazuli ne pendevano, frammiste ai frutti, dolci alla vista; invece di rovi e cardi vi erano ematiti e pietre rare, agata e perle di mare.   
(...) Vive presso il mare la donna della vigna, colei che fa il vino; Siduri siede nel giardino sulla riva del mare con la coppa d'oro e i tini d'oro che gli dei le diedero.   
(...) Ella rispose: " Gilgamesh, dove ti affretti? Non troverai mai la vita che cerchi. Quando gli dei crearono l'uomo, gli diedero in fato la morte, ma tennero la vita per sè. Quanto a te, Gilgamesh, riempi il tuo ventre di cose buone; giorno e notte, notte e giorno, danza e sii lieto, banchetta e rallegrati. Siano linde le tue vesti; nell'acqua lavati, abbi caro il fanciullo che ti tiene per mano e rendi felice tua moglie; perchè anche questo è il fato dell'uomo".  

Il viaggio in mare  
"(...) Colei che fa il vino gli disse: "Gilgamesh non si varca l'Oceano. Fin dai tempi antichi, chiunque vi sia giunto non è riuscito a varcare quel mare. Il Sole nella sua gloria varca l'Oceano, ma chi oltre a Samas l'ha mai varcato? Difficili sono il luogo e la traversata, e in mezzo scorrono profonde le acque della morte. Gilgamesh, come varcherai l'Oceano? Che farai quando arriverai alle acque della morte? E tuttavia, Gilgamesh, giù nel bosco troverai Ursanabi, il barcaiolo di Utanapistim; presso  di lui sono le cose sacre, le Cose di Pietra. La prua serpentina del battello sta foggiando. Guardalo bene, e se è possibile con lui varcherai le acque; ma se non è possibile, dovrai fare ritorno".  
(...) Salirono allora sul battello, Gilgamesh e Ursanabi assieme, e lo spingevano sulle onde dell'Oceano. In tre giorni navigarono quanto in un viaggio di un mese e quindici giorni; alla fine Ursanabi condusse il battello alle acque della morte. Allora Ursanabi disse a Gilgamesh: "Avanti, prendi una pertica e affondala, ma che le tue mani non tocchino le acque. Gilgamesh, prendi una seconda pertica, prendi una terza, una quarta pertica.(...)".  
Dopo centoventi spinte Gilgamesh aveva adoperato l'ultima pertica. Allora si spogliò , levò le braccia a mò di albero e le sue vesti a mò di vela. Così, il batteliere Ursanabi condusse Gilgamesh da Uta-Napistim, che chiamano il Lontano, che vive a Dilmun nel luogo del transito del Sole, a est della montagna. A lui solo fra gli uomini gli dei avevano dato la vita eterna."  

Uta-Napistim e il racconto del Diluvio  
" A lui Gilgamesh disse: "(...) Oh, padre Uta-Napistim, tu che sei entrato nel consesso degli dei, voglio interrogarti sui vivi e sui morti, come potrò trovare la vita che sto cercando?". Uta-Napistim rispose: "Nulla permane. Costruiamo forse una casa che duri per sempre, stipuliamo forse contratti che valgano per ogni tempo a venire? Forse che i fratelli si dividono un'eredità per tenerla per sempre, forse che è duratura la stagione delle piene? Solo la ninfa della libellula si spoglia della propria larva e vede il sole nella sua gloria. Fin dai tempi, antichi nulla permane. (...)". Allora Gilgamesh disse a Uta- Napistim il Lontano: "(...) Dimmi in verità, come facesti ad entrare nella schiera degli dei e a possedere la vita eterna?". Uta-Napistim disse a Gilgamesh: "Ti rivelerò un mistero, ti dirò un segreto degli dei".  
" (...) In quei giorni il mondo pullulava, la gente si moltiplicava, il mondo mugghiava come un toro selvaggio e il grande dio venne destato dal clamore. Enlil udì il clamore e disse: "Lo strepito dell'umanità è intollerabile e il sonno non è più possibile a cagione di questa babele". Così gli dei si accordarono per sterminare l'umanità. Lo fece Enlil, ma Ea, per il suo giuramento, mi avvertì in sogno. Egli sussurrò le loro parole alla mia casa di canne:   
" (...) Uomo di Surruppak abbatti la tua casa e costruisci una nave, abbandona i tuoi averi e cerca la vita, disprezza i beni mondani e mantieni viva l'anima tua".  
(...) Alla prima luce dell'alba la mia famiglia si riunì intorno a me, i bambini portarono pece e gli uomini tutto il necessario. Il quinto giorno misi in posa la chiglia e le coste, poi fissai il fasciame. (...) Venne poi il varo, pieno di difficoltà, lo spostamento della zavorra di sopra e di sotto finchè due terzi rimasero sommersi Vi caricai tutto ciò che avevo, oro e creature viventi: la mia famiglia, i parenti, gli animali del campo sia selvatici sia domestici, e tutti gli artefici. (...) Alle prime luci dell'alba venne all'orizzonte una nube nera; tuonava da dentro, la dove viaggiava Adad, signore della tempesta. Davanti, sopra collina e pianura, venivano Sullat e Hanis, nunzi della tempesta. Poi sorsero gli dei dell'abisso: Nergal divelse le dighe delle acque sotterranee, Ninurta dio della guerra abbattè gli argini e i sette giudici degli Inferi, gli Annunnaku, innalzarono leloro torce, illuminando la terra livida di fiamma. Sgomento e disperazione si levarono fino al cielo quando il dio della tempesta trasformò la luce del giorno in tenebra, quando infranse la terra come un coccio. (...) I venti soffiarono per sei giorni e sei notti; fiumana, bufera e piena sopraffacerono il mondo, bufera e piena infuriarono assieme come schiere in battaglia. Quando venne l'alba del settimo giorno, la tempesta del sud diminuì, divenne calmo il mare, la piena s'acquietò; guardai la faccia del mondo e c'era silenzio, tutta l'umanità era stata trasformata in argilla. (...) Allora Enlil andò alla nave, prese me e mia moglie per mano e ci fece entrare nella nave e inginocchiare da una parte e dall'altra, mentre egli stava in piedi fra noi. Ci toccò il capo per benedirci e ci disse: "In passato Uta-Napistim fu un uomo mortale; d'ora innanzi, lui e sua moglie vivranno nella lontananza, alla bocca dei fiumi".  

Il ritorno dell'eroe  
"Uta-Napistim disse:"Quanto a te Gilgamesh, chi riunirà a consiglio gli dei per te, così che tu possa trovare quella vita che cerchi? (...)".  
(...) "Gilgamesh, sei giunto qui come uomo esausto, sei spossato; cosa ti darò da portare al tuo paese? Gilgamesh io ti rivelerò una cosa segreta, è un mistero degli dei ciò che ti dirò. C'è una pianta che cresce sott'acqua, ha spine come il rovo, come la rosa; ferirà le tue mani, ma se riuscirai a prenderla, allora nelle tue mani ci sarà ciò che ridà a un uomo la gioventù perduta".  
Quando ebbe udito ciò, Gilgamesh aprì le chiuse così che una corrente di acqua dolce lo portasse al canale più profondo; si legò ai piedi pietre pesanti e queste lo trascinarono giù sul fondo. Vide che lì cresceva la pianta; benchè lo pungesse la afferrò; poi tagliò via dai suoi piedi le pietre pesanti e il mare lo prese e lo gettò sulla riva.  
(...) Così Gilgamesh ritornò dalla porta da cui era venuto, Gilgamesh e Ursanabi andarono assieme. Per venti leghe viaggiarono assieme, poi interruppero il digiuno; dopo trenta leghe si fermarono per la notte. Gilgamesh vide un pozzo d'acqua fresca, scese e vi si bagnò; ma nel profondo dello stagno giaceva un serpente, e il serpente sentì la dolcezza del fiore. Esso uscì dall'acqua e lo ghermì, e subito si spogliò della pelle e tornò nel pozzo. Allora Gilgamesh si sedette e pianse; scorrevano le lacrime sul suo vise; prese per mano Ursanabi e disse: "O Ursanabi è per questo che ho faticato con le mie mani, è per questo che ho spremuto il sangue dal mio cuore? Per me non ho guadagnato niente; non io, ma questa bestia della terra ne gioisce. Già la corrente l'ha riportato per venti leghe ai canali dove l'avevo trovato. Avevo trovato un segno e l'ho perso. Lasciamo la barca sulla riva e andiamo. 
(...) Quando il viaggio fu terminato arrivarono a Uruk, alla città dalle forti mura. Gilgamesh gli parlò, parlò ad Ursanabi il barcaiolo: "Ursanabi, sali sulla muraglia di Uruk, ispeziona il terrapieno delle fondamenta, esamina bene la muratura (...) Tutte queste parti e il recinto sono Uruk." Anche questo fu opera di Gilgamesh, del re che conosceva i paesi del mondo. Egli era saggio; vide misteri e conobbe cose segrete; un racconto ci portò dei giorni prima del diluvio. Fece un lungo viaggio, fu esausto, consunto dalla fatica; e quando ritornò, su una pietra l'intera storia incise.".   

 
L'addio di Gilgamesh 
"(...) Si era compiuto il destino che il padre degli dei, Enlil della montagna, aveva decretato per Gilgamesh: "Nella terra inferiore la tenebra gli mostrerà una luce: dell'umanità, fra tutti quelli che si conoscono, nessuno per generazioni a venire lascerà un monumento paragonabile al suo. (...) O Gilgamesh, questo era il significato del tuo sogno. Ti venne data la sovranità, questo era il tuo destino; una vita che duri in eterno non era tuo destino. Non essere triste in cuor tuo per questo, non essere afflitto nè oppresso. Egli ti ha dato il potere di legare e di sciogliere, di essere tenebra e luce dell'umanità. Ti ha dato supremazia incomparabile sul popolo, vittoria nella battaglia da cui nessun fuggiasco scampa, nelle scorrerie e negli assalti da cui non si torna indietro. Ma di questo potere non abusare, agisci con giustizia verso i tuoi servi nel palazzo, davanti al volto del Sole agisci con giustizia." 

  

Tealppag.gif (625 byte)
Torna alla pag.precedente
Tealhome.gif (1907 byte)
Torna alla homepage
Tealinde.gif (1842 byte)
Torna al   capitolo
Tealnpag.gif (638 byte)
Vai alla pag. successiva