"In
due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città
si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare. Il cammelliere
(...) pensa ad una nave, sa che è una città ma la pensa come
un bastimento che la porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare
(...). Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma di una
gobba di cammello, (...) sa che è una città ma la pensa come
un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce di frutta candita, vino
di datteri, foglie di tabacco, e già si vede in testa ad una lunga
carovana che lo porti via dal deserto del mare, verso oasi d'acqua dolce
(...). Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone:
e così il marinaio e il cammelliere vedono Despina, città
di confine fra due deserti."
(Italo Calvino, "Le città invisibili")
L'ingresso è il
momento di presa di coscienza - che dall'interiore si proietta poi all'esteriore
- del voler conoscere cosa c'è al di là dell'orizzonte. E'
pertanto questo l'unico atto di libera scelta per il viaggiatore, quello
in cui egli, decidendo di affrontare l'ignoto, affronta la scelta di esperire
direttamente il mondo/caos e mettere in gioco se stesso in esso. Colui che parte - in
ogni tempo e per ogni luogo - vive l'esperienza della sua identità
che diviene ambigua: la fonte di questa ambiguità consiste nel distacco
dell'individuo da un contesto che lo definisce. Rinunciare a questo
mondo definito dai riconoscimenti e dalle identificazioni che danno certezza
al soggetto è la fonte delle sofferenze degli esuli, ma è
anche la fonte del godimento moderno del viaggio come fuga e libertà.
Questa sorta di "purificazione" che avviene con la partenza è anche
un modo per far sì che il soggetto possa capire e migliorare i suoi
contorni e la sua essenza, in una parola possa conquistare un'autonomia
che si esplica come "scoperta", sperimentazione di sé e del mondo
e realizzazione del "controllo" sul contingente. In sostanza, è
l'ingresso, l'inizio del viaggio, che ne connota lo spessore culturale
e la qualità, e che imprescindibilmente chiama in causa la volontà
del viaggiatore; quella stessa volontà che è stata la molla
della conquista conoscitiva della terra, che nel suo contesto fisico ha
dato dimensioni reali all'insediamento umano e alla sua diffusione, e,
in sintesi, alla conoscenza dell'ecumene da parte dell'uomo. Ecumene, in questo
caso, inteso in senso lato, come "gnosce te ipsum", ma anche e ancor più
"gnosce Terram Matrem", percepita, quest'ultima, come fonte e ragione di
un'esistenza che chiede di essere provata e confermata da continui ampliamenti
della conoscenza del dove, oltrepassando così i limiti esistenti,
e falsamente ritenuti esaustivi, di un orizzonte banalmente limitato al
quotidiano. In definitiva, l'ingresso
nel labirinto, la partenza per il viaggio, è l'unico atto volontario
dell'uomo, che, conscio di se stesso, vuole "vivere la vita" in un contesto
spaziale e temporale, in cui la conoscenza-esperienza del mondo ha una
valenza determinante. Fin dall’antichità,
si è prestata particolare attenzione nell’attribuire il giusto significato
all’ingresso, segnalato strutturalmente dalla porta, vista come confine
tra due realtà spesso molto diverse. Ricordiamo il significato simbolico
attribuito all’atto di entrare in una città o all’attraversare un
arco di trionfo. Molti ingressi importanti venivano custoditi da sculture
o rilievi raffiguranti mostri o esseri mitologici, come ad esempio la Sfinge,
oppure vi si potevano trovare messaggi che incitavano il visitatore ad
entrare o lo scoraggiavano. Dunque l’ingresso segnala
il passaggio da un dominio all’altro; è varco in un recinto che,
come dice Heidegger, non è ciò su cui una cosa si arresta,
ma ciò da cui una cosa inizia la sua presenza. Infatti le proprietà
di chiusura di una delimitazione sono determinate dalle aperture; il confine
in senso generale e il muro in particolare, manifestano la struttura spaziale
in estensione, direzione e ritmo, continui o discontinuo. Nel labirinto,
l’ingresso è il momento di passaggio da una condizione all’altra:
abbandoniamo il mondo conosciuto per addentrarci nell’ignoto, attratti
dalla ricerca del centro, agognato o solo sperato.