"L'uomo
cammina per giornate tra gli alberi e le pietre. Raramente l'occhio si
ferma su una cosa, ed è quando l'ha riconosciuta per il segno di
un'altra cosa: un'impronta sulla sabbia indica il passaggio di una tigre,
un pantano annuncia una vena d'acqua, il fiore dell'ibisco la fine dell'inverno.
Tutto il resto è muto ed intercambiabile; alberi e piante sono solamente
ciò che sono. Finalmente il viaggio conduce alla città di
Tamara. Ci si addentra per vie fitte d'insegne che sporgono dai muri. L'occhio
non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia
indica la casa del cavadenti, il boccale la taverna, (...). Se un edificio
non porta nessuna insegna o figura, la sua stessa forma e il posto che
occupa nell'ordine della città bastano ad indicarne la funzione:
la reggia, la prigione, la zecca, la scuola pitagorica, il bordello. (...).
Lo sguardo percorre le vie come le pagine scritte. la città dice
tutto quello che devi pensare, ti fa ripetere il suo discorso, e mentre
credi di visitare Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa definisce
se stessa e tutte le sue parti. " (Italo Calvino, "Le città
invisibili")
L'impulso di viaggiare,
che trova la sua compiutezza nella fine-centro del viaggio, ha un suo "durante",
un iter progressionis, un momento di transito, che si concretizza nel percorso
o più precisamente in un tracciato che strutturalmente si realizza
nel seguire determinati "tratti" di via. Di fatto però,
questi tratti sono già definiti - da chi ha disegnato il labirinto,
ovvero da chi ha tracciato le vie - per cui il percorrerli non è
che il seguire qualcosa di già predisposto e che comunque, con varianza
infinita o semplicità elementare, non consente mai al viaggiatore
di abbandonare la via che gli si apre davanti. Entrano qui in campo i due
"attori" del labirinto, antitetici fra loro: l'architetto, a cui corrisponde
un sapere globale, e il viaggiatore, che sfrutta un sapere eminentemente
locale. Tuttavia il percorso, ovvero il momento del transito in un viaggio,
non è unicamente uno strumento per arrivare al centro-fulcro vitale;
compiendo un percorso, il viaggiatore è in movimento, e questo stesso
movimento diventa un "mezzo di percezione", oltre che fattore che determina
la situazione fisica del viaggiatore. Detto in altri termini, ciò
significa che il transitare è una sequenza di movimento in grado
di produrre trasformazioni del carattere e della stessa identità
del soggetto che lo esplica, nel momento in cui quest'ultimo, prescindendo
dalla meta finale, percepisce il transito come momento autonomo a sé
stante. In questa condizione, è il movimento che guida la "soggettività"
del viaggiatore, il quale diviene più consapevole di sé come
spettatore ed osservatore di un mondo che gli passa davanti in un susseguirsi
di emozioni e immagini percepibili. La convinzione millenaria
che il viaggiare potenzi l'intelligenza, facilitando nel soggetto lo sviluppo
di una forma di "ragione", un "punto di vista" e una coscienza di sé
basata sull'osservazione del mondo e dei suoi vari contesti ed ambienti,
trova la sua spiegazione nel fatto che nel flusso dei paesaggi, dei luoghi
e delle cose percepite nelle loro superfici esterne, la coscienza stessa
dell'osservatore che contempla, avanza piano, si ferma quando vuole guardare
e diventa una fonte di continuità, un'identità essenziale
che si risveglia ogniqualvolta si parte per un viaggio. Più specificatamente,
il transito consente al viaggiatore di distinguere la "forma" delle cose
dalla sequenza in cui avvengono e quindi gli consente di familiarizzare
con l'apparenza "astratta" di un fenomeno che persiste attraverso una gamma
di contesti differenti. L'esperienza sequenziale di oggetti specifici in
vari contesti permette al viaggiatore di isolare l'oggetto dal contesto
particolare e gli permette di divenire consapevole delle sue caratteristiche
persistenti, formali e generali, in una parola di cogliere quella che è
la forma "pura" delle cose, che prescinde da come esse appaiono. Questo
processo di consapevolezza si attua attraverso un confronto continuo e
incessante, che avviene nella mente del viaggiatore fra oggetti nuovi,
appena osservati e ciò che invece appartiene già alla sua
esperienza fenomenica. Ma il transito fornisce
informazioni non solo sul mondo osservato e osservabile, bensì anche
sull'io del viaggiatore. Vengono alla luce, cioè, schemi, atteggiamenti,
limiti mentali che il viaggiatore applica nella sua lettura dell'universo
e di cui si rende consapevole cercando di modificarli. Insomma, mente e
corpo del viaggiatore sono imprescindibilmente fusi e interconnessi e quindi
passibili di mutamenti reciproci: l'ordine imposto dalla situazione della
mobilità è un ordine sequenziale, "progressivo", che il soggetto
viene obbligato ad assumere come criterio organizzatore della realtà
a discapito di un sistema di ordinamento dei dati "selettivo" e "categoriale". Il percorso significa
per l’individuo un allontanamento dalla propria situazione originaria verso
una o più mete, magari ancora sconosciute; il tragitto avviene secondo
l’immagine che l’uomo ha dell’ambiente in cui si muove e contiene sempre
una tensione fra il noto e l’ignoto. Il percorso costituisce una caratteristica
fondamentale dell’esistenza umana ed è uno dei grandi simboli delle
origini; inoltre è sempre caratterizzato dalla continuità,
ed è inteso come successione lineare. Se dapprima si presenta come
direzione da seguire per raggiungere una meta ambita, durante il cammino
si producono degli avvenimenti particolari che fanno vivere il percorso
come una vera e propria esperienza unica ed indimenticabile, in cui si
unisce, alla tensione verso la fine, quella suscitata dai micro-avvenimenti
sperimentati lungo il cammino e dal punto di partenza ormai lontano. Le
persone osservano l’ambiente circostante mentre si muovono, e gli elementi
ambientali sono disposti e relazionati lungo il percorso. Talora, anziché
condurre in modo pressoché rettilineo ad una meta lontana, il percorso
può formare degli anelli, o procedere per continui cambi di direzione,
come accade nel labirinto. Così l’architettura di Dedalo si dispone
secondo un puro camminare, lungo sentieri che portano ad errare; entro
l’astrattezza del percorso sono da ricercarsi verità e conoscenza.