INDICE INTRODUZIONE Dati STORICI IL LUOGO LETTURA SITO
ADDUZIONI CATALIZZATORE PARADIGMA SCENARI VERIFICHE

Torna all'indice

Corriere della Sera, 28 Aprile ’98

Il documento che conferma il racconto fatto da Gaspare Pisciotta

 

Dalla grafia ordinata, leggermente inclinata verso destra, incerta solo a tratti: "per l’onorevole Giuseppe Montalbano, da darsi a lui nel caso dovessi morire". Firmato Antonio Ramirez, 18 Dicembre 1951.

La lettera che viene dal passato, è il primo pezzo di carta che, con un preciso riferimento autografo ai mandanti della strage di Portella della Ginestra, emerge dagli archivi della commissione Antimafia; in questo giorno infatti l’organismo bicamerale dovrebbe far cadere il segreto imposto a suo tempo su quasi tutti gli atti giudiziari relativi all’eccidio del 1° Maggio 1947.

L’attenzione è puntata sul FALDONE "Accuse e corresponsabilità", dal quale potrebbe venire alla luce un filo non ancora spezzato, una traccia che lega gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, la mafia e i veri mandanti politici di quella che viene ricordata come la prima strage di Stato.

Tra i fascicoli che il presidente Ottaviano Del Turco ha deciso di rendere pubblici ci dovrebbe essere anche quello sul ruolo degli "agenti segreti" Usa.

Ma è la lettera di Ramirez il primo documento che emerge: tre pagine scritte su carta intestata dell’Assemblea Regionale Siciliana, in cui un deputato repubblicano, l’avvocato civilista Ramirez appunto, consegna ad un collega comunista, il professor Montalbano, un testamento pesante come un macigno: " il 7 Dicembre 1951, alle ore 10,30 è venuto da me, nel mio studio l’On. Ing. Gioacchino Barbera, il quale mi ha detto:

che l’On. Tommaso Leone Marchesano (avvocato, deputato regionale monarchico), gli aveva confidato che era stato proprio lui a dare mandato a Giuliano per la sparatoria a Portella della Ginestra.

Scopo non era quello di uccidere ma di spaventare ed atterrire i comunisti.

L’accusa contro il partito monarchico non è nuova: fu già formulata da Gaspare Pisciotta, luogotenente e guida del bandito Giuliano, e da un punto di vista giudiziario fu senza esiti.

La lettera di Ramirez rappresenta lo stesso una testimonianza storica sopravvissuta a mezzo secolo di silenzi: il nome dell’ing. Barberino, anche lui deputato monarchico, nato a Palermo nel 1890, poi pugnalato alle elezioni, forse dai suoi stessi compagni, non era noto. E si pentì secondo Ramirez, perché sebbene fosse una persona di alta mafia, ma anche alta mafia non significa brutali omicidi ai quali, da persona onesta, non può che ribellarsi.

Le cose andarono così, racconta l’autorevole storico siciliano Francesco Renda, che quel primo maggio del ’47 era uno dei giovani oratori comunisti presenti alla manifestazione di Portella della Ginestra: il documento è inedito anche se parti del contenuto ad alcuni, erano note.

Ramirez, era una persona autorevole, morì di morte naturale, e Montalbano, dopo aver ricevuto la lettera, si rivolse alla Procura di Palermo, quando era ancora in corso il processo per la strage di Viterbo, ma poi, la corte non ritenne di assumere tra gli atti del dibattimento anche quella denuncia.

Si arrivò quindi ad un non luogo a procedere e le persone nominate nella lettera controdenunciarono Montalbano.

Nella lettera, infatti, Ramirez indica come mandanti anche Alliata (il principe Giovanni Alliata di Monreale) e specialmente Cusimano Geloso (un altro deputato regionale) che erano sempre in contatto con Giuliano perché "Giuliano era tenuto soggetto con la precisa assicurazione che doveva essere completamente amnistiato per le iniziative contro i comunisti". E ancora: "che quanto ha detto Pisciotta su Leone Marchesano, Alliata e Mattarella (l’onorevole Bernardo) risponde a verità".

Ma nel processo di Viterbo, le dichiarazioni di Gaspare Pisciotta furono contestate e respinte.

E anche oggi il professor Renda è pessimista: "Del Turco ha fatto bene, vedremo cosa c’è in queste carte. Anche se, in tutti questi anni, la magistratura ha sempre scaricato su Giuliano la responsabilità della Strage".