"A
Eudossia, che si estende in alto e in basso, con vicoli tortuosi, scale,
angiporti, catapecchie, si conserva un tappeto in cui tu puoi contemplare
la vera forma della città.A
prima vista nulla sembra assomigliare meno ad Eudossia che il disegno del
tappeto, ordinato in figure simmetriche che ripetono i loro motivi lungo
linee rette e circolari, (...), ma se ti fermi ad osservarlo con attenzione,
ti persuadi che ad ogni luogo del tappeto corrisponde un luogo della città
e che tutte le cose contenute nella città sono comprese nel disegno,
disposte secondo i loro veri rapporti, quali sfuggono al tuo occhio distratto
dall'andirivieni, dal brulichio, dal pigia-pigia.(...) il tappeto prova
che c'è un punto dal quale la città mostra le sue vere proporzioni,
lo schema geometrico implicito in ogni suo minimo dettaglio." (Italo Calvino "Le città
invisibili")
Il mondo arcaico concepisce
il mondo circostante come un micro-cosmo, al limite del quale comincia
l'ambito dell'ignoto, del non formato. Ogni microcosmo, ogni
regione abitata, ha ciò che si potrebbe chiamare un "centro", ovvero
un luogo sacro per eccellenza, dove, come osserva Eliade, si manifesta
in modo totale il sacro. Per ciascuno di questi microcosmi è pertanto
fondamentale la "creazione" del centro, il luogo in cui si manifesta un
inserimento del sacro nello spazio profano, anzi, soprattutto nelle civiltà
orientali, possono esistere un numero illimitato di "centri", localizzati
anche nella stessa regione: ognuno è considerato e definito come
il "Centro del Mondo", senza che questa pluralità crei alcuna contraddizione. L'insieme di miti-simboli-rituali
che ruotano attorno al simbolo del "centro" presenta, tuttavia, una contraddizione
carica di significati profondi: una parte di essi insiste sulla difficoltà
(è imposto sempre un cammino disseminato di sacrifici, fatiche e
ostacoli), e quindi poi sul merito, giungere al centro; un'altra parte
mette in evidenza la possibilità e la facilità di entrare
in esso. Difficoltà di
arrivare a un centro, centro accessibile: balza all'occhio immediatamente
come questa affermazione bene si conformi al concetto di labirinto. Infatti
proprio nel centro - rottura di livello per eccellenza, spesso simboleggiata
dalla scala - hanno luogo i riti di "ascensione", ovvero l'iniziazione
del neofita. Così il labirinto, proprio per la presenza del centro,
ha assunto anche questa valenza iniziatica di percorso/progressione - che
avviene sempre per gradi, il numero dei quali ha un valore decisamente
magico - verso l'acquisizione del sapere, verso il "mysterium tremendum". Ma che cosa è
racchiuso nel centro? Sempre un quid numinoso, talora un mistero impronunciabile,
un "arrheton"; la divinità, o anche il Mostro (ad esempio il Minotauro).
Comunque nel centro si trova sempre ciò che si vuole trovare: "nosce
te ipsum", ovvero: l'ultima conoscenza è quella del sé, la
comprensione completa del proprio io; il "deus absconditus" o Mostro, cioè
se stessi - "1'homme, monstre incomprehensible", come dice Pascal. Il centro, cioè
la fine del viaggio, si configura come il "luogo" che fornisce la spinta
e la motivazione principale del partire; è il solo punto dove l’uomo
si sofferma e prende posizione come essere razionale nello spazio, presuppone
quindi anche una sosta, un momento di riflessione, di meditazione. Può
essere raffigurato come un "interno" in contrasto con l’"esterno" che lo
circonda; ad esso ben si adatta l’idea di una forma rotonda : il cerchio
- il significante geometrico del centro - ha condizionato dottrine teologiche,
cosmologiche, psicologiche, utopistiche, urbanistiche e geografiche, diventando
così una delle radici della tradizione del pensiero occidentale.
I caratteri di chiusura e di centralizzazione contribuiscono a formare
un concetto esistenziale più concreto, quello di "meta" (elemento
primario dello spazio esistenziale). Il centro si pone come il termine
di un percorso, sia esso interiore/spirituale o reale/materiale; è
cioè punto di arrivo e nel contempo "luogo" di conferma, per il
viaggiatore, della sua propria identità. Conferma che si manifesta
nel momento stesso in cui riesce ad arrivare alla meta del viaggio, cosicché
la "fine" del viaggio diviene il "fine" del viaggio stesso. Perciò
questo "luogo" - accezione spaziale del centro - e questo "momento" - accezione
temporale della fine - sovrapponendosi, costituiscono l'elemento essenziale
attraverso cui prendere coscienza della conoscenza della realtà
ambientale: spazio vissuto, quindi "consumato" e pertanto acquisito alla
propria psiche. In sostanza diviene centro ogni luogo geograficamente concretato
nella realtà del vissuto. Arrivare significa allora giungere ad
un centro che rappresenta la momentanea creazione di un "ordine" del mondo,
che traccia un netto confine fra luoghi contenuti/posseduti e le categorie
dell'estraneità. Oltre che come "mete",
i centri possono configurarsi anche come punti di partenza verso la scoperta
di nuovi ambienti. E’ significativo il
fatto che spesso il centro spesso venga immaginato e concepito proprio
come un luogo geografico: la vetta di una montagna, il punto di arrivo
di una peregrinazione in pianura, oppure una caverna o un luogo sotterraneo.