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Il Messaggero, 1 Maggio '87

Una storia di segreti cominciata 40 anni fa

 

"L’affare Giuliano", che con le sue cronache sanguinose e i misteri in gran parte irrisolti animò gli anni del dopoguerra prolungandosi quasi fino alla metà del decennio successivo, appare agli uomini di oggi come irrimediabilmente lontano.

Sono morti, e per lo più di morte violenta, o seppelliti negli ergastoli, gli autori, gli autori materiali dei delitti efferati che insanguinarono la Sicilia.

Disperse o cancellate, appaiono le prove del primo fra tanti enigmi che da allora popolarono la storia della Repubblica. Dalle cronache ingiallite, e dalla nebbia dei ricordi appaiono tuttavia, testimonianze, ricostruzioni, nomi capaci di far rivivere almeno il ricordo quegli anni terribili.

E’ di questi giorni la "riabilitazione", per buona condotta di Pasquale Sciortino, uno dei protagonisti della banda Giuliano, e una delle figure più singolari fra quelle che si raccolsero attorno al "re di Montelepre". Più evoluto e più colto dei suoi compagni, era figlio di una famiglia agiata, aveva viaggiato in continente ove era entrato in contatto con elementi partigiani. Fu lui a mettere in contatto Giuliano col movimento separatista dal quale il bandito fu nominato, tra il ’44 e ’45, capo militare. Fu in un certo senso consigliere, nonché amico di Giuliano.

Pasquale Sciortino, il più avvertito degli uomini della banda, si è da allora tenuto in disparte: non ha annunciato né fatto rivelazioni, in carcere ha studiato, si è laureato. Oggi è libero, vive a Firenze, non è pensabile che voglia rimettere in discussione la sua posizione.

Gli interrogativi su Giuliano, e le sue imprese, sono tanti, e sempre gli stessi: chi ne protesse la lunga latitanza, chi gli offrì coperture politiche nel momento della effimera ma sanguinosa guerra civile scatenata dai separatisti dopo lo sbarco degli alleati in Sicilia nel ’43; chi incaricò i fuorilegge di alcune delle azioni più efferate, prima fra tutte la strage di Portella della Ginestra; chi decise la morte di Giuliano, anziché la sua cattura; e chi all’alba del 9 Febbraio ’54, nel carcere dell’Ucciardone, mise nel caffè di Gaspare Pisciotta la dose mortale, che chiuse la bocca per sempre all’unico personaggio che sapeva, che poteva ancora parlare.

Ma il mistero Giuliano, o meglio i molti misteri che ne circondano la vita e la morte, è raccolto tutto ancora, e principalmente, attorno a quella mattina del 1 maggio ’47. Di quella vicenda sappiamo tutto, per quel che riguarda le vittime, e il ruolo degli assassini, degli esecutori materiali che vennero condannati a pene gravissime nel processo di Viterbo, conclusosi nel maggio ’52. Qualcosa sappiamo della trama che stava dietro la strage.

Poco, troppo poco come confesseranno gli stessi giudici di Viterbo, nelle motivazioni della sentenza del ’52, per inchiodare alle loro responsabilità, mandanti e complici, che pure, si afferma nel documento, vi furono in alcuni settori dello Stato e della politica.

A seguito della strage di Portella, l’Ispettore generale di PS in Sicilia, Ettore Messana, confidava a Girolamo Li Causi che secondo lui era stato Giuliano a compiere la strage, come se si trattasse di una ipotesi, o di una semplice supposizione.

Ma Messana aveva già inviato al Ministero dell’interno un fonogramma nel quale, facendo riferimento ad una fonte confidenziale, attribuiva senza dubbio a Giuliano la strage.

Il confidente del quale parlava Messana era Salvatore Ferreri, detto "fra Diavolo". Insieme a Pisciotta, questo Ferreri ci appare come una delle figure più ambigue di quel periodo. Qualcuno, nella banda, doveva aver avuto sentore del doppio gioco, ma a differenza di altre spie, Ferreri non subì la punizione di Giuliano. Ad ucciderlo furono, invece, i carabinieri.

Catturato per una delazione il 13 giugno ’50, Ferreri avvertì subito l’ufficiale dei carabinieri che lo prese in consegna. Fu ucciso in circostanze misteriose, si parlò di un suo tentativo di reazione, in una caserma dell’arma. La morte di Ferreri fu attribuita alla lunga contesa fra i diversi corpi dello Stato.

La PS si ripagò più tardi, e a usura, catturando Gaspare Pisciotta, protetto dei carabinieri, i quali gli avevano offerto protezione, ospitalità, cure mediche prima e dopo la fine del "re di Montelepre".  Annunciandone la cattura a Montelepre nel dicembre ’50, il questore Marzano dichiarò con trasparente polemica: "io i banditi li prendo vivi, non morti".

Gaspare Pisciotta, al processo di Viterbo, non mancò di accusare alcuni dei presunti responsabili delle imprese di Giuliano, parlò degli intrighi dei corpi dello stato, della mafia, di alcuni politici. Disse: "Banditi, mafia e politici, eravamo la santissima Trinità". In una drammatica seduta, il 6 aprile ’51 Pisciotta fece i nomi di alcuni politici: i monarchici Cusumano, Marchesano, Alliata, Mattarella. Accennò anche a protezioni di Scelba, ma queste furono presumibilmente vantate dal colonnello Luca, capo del corpo forze repressione banditismo per convincerlo ad uccidere Giuliano.

Pisciotta non portò nessuna prova certa, fu creduto solo per quel che si sapeva: era stato lui ad uccidere Giuliano nella casa dell’Avv: De Maria, a Castelvetrano, il conflitto a fuoco raccontato da Perenze era una messinscena. All’annuncio della condanna all’ergastolo, nell’aula di Viterbo, Pisciotta minacciò altre rivelazioni. Ma tacque a lungo, aspettando forse che certe promesse venissero mantenute. Si risolse a parlare nei primi giorni di febbraio ’54.

Ad ascoltarlo andò un sostituto procuratore di Palermo, allora sconosciuto, e destinato però a grande carriera, Pietro Scaglione. Il giudice non portò con se il cancelliere, e nessuno seppe cosa gli disse Pisciotta. Doveva tornare di lì a qualche giorno per verbalizzare le sue dichiarazioni; ma fu troppo tardi, il 9 febbraio ’54 una dose di veleno micidiale, stroncò Pisciotta nel carcere dell’Ucciardone.

Anche Pietro Scaglione morì di morte violenta, ma molti anni dopo. Era diventato il potente e discusso Procuratore Generale di Palermo. Fu ucciso il 5 maggio ’71, e fu il primo di una lunga serie di "cadaveri eccellenti".

Da allora i misteri di Giuliano sono stati seppelliti nel nulla, e nel tempo. Fra questi il delitto peggiore, perpetrato in quella mattina del 1 maggio ’47. Fu anche il primo dei tanti misteri della Repubblica.